Settimane Sociali (Pisa 2007) - In evidenza - Relazioni - Belardinelli Sergio  
Domenica 19 Maggio 2024
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Belardinelli Sergio    versione testuale
Intervento


1. “Mi sembra che uno dei fenomeni fondamentali del XIX secolo sia stata ciò che si potrebbe chiamare la presa in carico della vita da parte del potere. Si tratta, per così dire, di una presa di potere sull¿uomo in quanto essere vivente, di una sorta di statalizzazione del biologico, o almeno di una tendenza che si potrebbe chiamare verso la statalizzazione del biologico”. Così si esprimeva Foucault in una lezione tenuta nel marzo del 1976 (Foucault 1998, p.206), marcando una specificità che non esiterei a definire inquietante in ordine ai diversi modi in cui il tema della vita si inserisce nelle logiche della politica dai tempi di Aristotele, fino alla modernità e ai giorni nostri.
Per Aristotele la vita entra nella politica come il suo presupposto naturale, un presupposto che costituisce, da un lato, l¿ostacolo da superare in vista della semplice sopravvivenza biologica, e, dall¿altro, in quanto “vita umana”, il criterio di questo superamento in vista della “vita buona” del singolo e della comunità. “Senza il necessario è impossibile sia vivere sia vivere bene”, si legge nella Politica (1253b). Occorre in primo luogo sopravvivere, primum vivere, affinché si possa realizzare ciò che “è proprio dell¿uomo rispetto agli altri animali” e cioè “di avere egli solo, la percezione del bene e del male, del giusto e dell¿ingiusto e degli altri valori”(Politica 1253a). Vinta la necessità, diciamo pure, la fame, la sete e il freddo, che rendevano tragico il problema della nostra sopravvivenza biologica, tanto tragico da dover persino giustificare l¿esistenza di schiavi che, come “animali domestici” o “strumenti animati”, provvedessero appunto alle necessità della vita, la “vita buona” si trova oggi a essere minacciata proprio dagli strumenti, dalle “astuzie”, dalla techne che abbiamo elaborato per vincere la natura e assicurarci la nostra sopravvivenza. Come mostra assai bene la relazione di Francesco D¿Agostino, l¿ “umano” sembra addirittura volersi estraniare dalla “vita”, anche dalla “vita umana”, ridotta non a caso a “nuda vita” (Agamben 1995), prima di essere totalmente sottomessa alle istanze di un potere che ne definisce i contorni (l¿inizio e la fine, il valore e la dignità) in termini puramente funzionali, quindi senza alcun riferimento a qualcosa, ad esempio l¿umanità, che, lungi dall¿essere funzionalizzabile, dovrebbe rappresentare piuttosto il presupposto “indisponibile” di qualsiasi funzionalizzazione. In questo senso, con le parole di Francesco D¿Agostino, la biopolitica diventa “quel paradigma che ritiene l¿humanitas non un presupposto, ma un prodotto della prassi collettiva”.
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